Competenze utili alle imprese: misurare è meglio che disallineare

“SkillMatch-Insubria è un progetto di carattere europeo iniziato tre anni fa, io mi sono inserita da un paio. Dopo una prima fase di analisi e poi di raccolta dati, questo è il momento della valutazione di ciò che abbiamo studiato per fare proposte attraverso cui incidere sul mercato del lavoro”. Le parole sono di Eleonora Paganini, tante anime professionali nella stessa donna: avvocatessa e ricercatrice con la passione per il mondo delle imprese a incollare il tutto.

La raggiungo al telefono dopo uno scambio di mail già istruttivo su quale focus andare a scegliere per l’intervista: geografia del lavoro, riallineamento tra domanda e offerta per rispondere ai bisogni delle imprese nei nuovi contesti produttivi, creazione di valore e competitività, comparazione dei modelli tra Italia e Svizzera. Con la parola transfrontaliero che ci aiuterà a capire il senso dei confini.
Il gruppo di SkillMatch-Insubria è composto da ricercatori di tre università diverse: lei e alcuni colleghi della LIUC, altri dall’Insubria di Varese e poi la Supsi, che è l’anima svizzera del progetto.
Intanto collochiamo l’Insubria: le cinque province lombarde (Varese, Como, Lecco, Verbana e Novara) più il Canton Ticino. Un’area a cavallo tra i due Stati dove i bordi dell’Italia si trasformano in Svizzera a distanza di un pugno di chilometri: è lì che il progetto sta misurando il disallineamento di competenze tra domanda e offerta di lavoro, problema tra l’altro diffuso in tutta Italia e con motivazioni diverse.
“Questo è il punto: il mismatch esiste su tutto il territorio nazionale per via di variabili che in gergo noi facciamo rientrare tra quelli che chiamiamo macrotrend da nord a sud come ad esempio la digitalizzazione, l’invecchiamento demografico, la globalizzazione o la flessibilizzazione delle persone. L’aspetto interessante del progetto è che noi lo stiamo misurando su una geografia molto specifica.

Qual è la matrice di un territorio di confine così poco conosciuto come l’Insubria e quale utilità offre in una logica di cultura del lavoro?
È un territorio uniforme da un punto di vista linguistico e culturale perché il Canton Ticino è davvero molto vicino a noi sotto molteplici aspetti; la peculiarità è che in un’ottica di prossimità convivono due Stati e due istituzioni così diverse con politiche ed economie davvero eterogenee. Diciamo che è un ecosistema estremamente specifico.

Quali settori del mercato avete mappato?
In particolare il metalmeccanico, l’informatica, il bancario, l’edilizia e il chimico-farmaceutico. Per ogni settore abbiamo svolto interviste con aziende italiane e svizzere, le abbiamo fatte anche dialogare e confrontarsi per poi permetterci di arrivare all’analisi qualitativa e quantitativa delle risposte. Lo scopo era capire quali fossero le professioni più richieste e quali meno, non siamo ancora giunti alla restituzione finale dei dati perché SkillMatch-Insubria durerà ancora un anno circa.

La pandemia vi ha messi davanti a ritardi e resistenze, immagino.
Tra marzo e aprile del 2020 stavamo proprio conducendo le interviste e confesso che il nostro progetto di colpo si è dovuto misurare con le loro emergenze. Un freno iniziale poi, una volta messo a regime il loro smartworking, tutto ha ripreso a scorrere permettendoci anzi di sfruttare la potenzialità della distanza e accorciando i tempi.

Italia e Svizzera: cosa non vediamo da fuori?
Il tema del confine e del pendolarismo è fortissimo e permea le vite di molti. Il merito della Svizzera è che mondo della scuola e mondo del lavoro sono estremamente collegati, dialogano molto, e soprattutto il loro sistema formativo è snello. Finito il percorso dell’obbligo, è quasi automatico che i giovani facciano un tirocinio o che, ancora di più, utilizzino l’apprendistato che rappresenta il canale in assoluto più diffuso in Svizzera. Per capirci è il sistema duale alla tedesca e in questa zona le realtà degli ITS sono davvero amate dai giovani che riescono a identificarsi subito e bene col mondo del lavoro sia sul piano teorico e formativo che pratico ed economico.

L’apprendistato italiano è un’altra cosa.
La nostra normativa richiede troppe complessità per renderlo appetibile agli occhi delle aziende e negli ultimi decenni si sono susseguite troppe modifiche di legge che lo hanno reso difficile da applicare sul piano burocratico. Diciamo poi che, a parità di costo contrattuale, le aziende preferiscono un contratto a tempo determinato che snellisce il tutto anche perché non viene richiesto loro di individuare procedure o tutor, con tutto ciò di cui dovrebbe farsi carico per gestire l’apprendista. Gli stessi uffici risorse umane interni alle aziende faticano parecchio.

Sul piano strettamente culturale, la Svizzera ha un’altra visione del lavoro?
C’è un gap culturale enorme in Italia: diciamo che la generazione di chi ha oggi 40 anni, e quella dei loro genitori, ha spesso pensato che servisse fare i licei e l’università a tutti i costi ma questa impostazione ha svilito l’idea dello studio affiancato al lavoro. In Svizzera non è affatto così. Del resto anche se penso alla mia formazione è andata così: il liceo e l’università però avevo già capito che mi mancava il contatto da vicino col lavoro e quindi ho fatto un dottorato industriale che è molto simile all’apprendistato: in pratica, mentre studiavo, lavoravo ed è stata la mia fortuna.

Eleonora Paganini è un bell’esempio generazionale di come si possa incarnare seriamente una scelta di vita e di lavoro al confine con sé stessi. Vive e lavora tra i tribunali e le università, continua a fare ricerca ma non molla mai la corda col mondo delle imprese, passa di continuo tra Italia e Svizzera sia fisicamente che per cultura. Transfrontalieri è una parola con molte più metafore di quanto si pensi.