Difendiamo la qualità e la creatività del Made in Italy: solo così si esce dalla crisi

Intervista a Stefano Croci, CEO di Téchne

28 aprile 2020

“La riattivazione del 90% dei reparti su tutte le commesse ritenute strategiche è stato vissuto dai nostri dipendenti come una liberazione: è un segnale chiaro di come, pur nella drammaticità del momento e nella legittima preoccupazione per la salute propria e dei propri cari, la spinta ad un ritorno alla normalità è insopprimibile”: queste le parole di Stefano Croci, CEO di Téchne, azienda metalmeccanica che lavora nell’ambito dell’estrazione degli idrocarburi e a supporto della filiera di estrazione di Oil & Gas. Azienda storica, rilevata nel 2000 dalle famiglie Croci e Besana, attuali proprietarie. Due le linee di produzione dell’azienda, poiché accanto all’operatività conto terzi negli ultimi 15 anni è stato implementato il settore Ricerca e Sviluppo, con la progettazione e realizzazione di prodotti speciali e “a catalogo”, che sono diventati il punto di forza in un ambito produttivo di nicchia e di altissima qualità.

Una qualità che, dice Croci, è sempre stata inseguita come asset strategico: “non amo chiamare i miei dipendenti operai, perché a mio avviso non lo sono. Si addice a loro più il termine di professionisti della meccanica, perché il loro compito non si limita a comandare una macchina con semplici gesti per vedersi restituito un pezzo finito. Si tratta di persone in grado di avere ampi margini di autonomia nella gestione di lavorazioni complesse, di macchinari tecnologicamente all’avanguardia: in questo senso il singolo operatore ha competenze che possiamo definire ingegneristiche”. Dagli 8 che costituivano il primo nucleo al momento dell’acquisizione dell’azienda, oggi l’organico di Téchne – l’etimologia del nome tradisce la formazione classica di Croci – è costituito da 52 tra dipendenti e interinali. La lavorazione dell’acciaio è una delle attività più radicate nel territorio, e anche in tal caso la qualità della materia prima fa la differenza: “lavoriamo leghe che hanno costi importanti, dai 25 ai 30 euro al kg, mentre l’acciaio Inox si aggira attorno ai 3-4 € per kg – dice Croci-. Oggi Téchne è un’azienda riconosciuta come nome di nicchia su tutto ciò che i paesi con produzioni maggiormente low cost non sono in grado di progettare e processare. Abbiamo macchine di prototipazione tridimensionale, le classiche stampanti 3D e ci sono bei progetti in essere, un fatturato che nel 2019 ha sfondato il tetto degli 8 milioni di euro”.

Una realtà importante, insomma, che si inserisce in un tessuto economico ben caratterizzato: “le aziende meccaniche del comasco sono sempre state tradizionalmente legate all’industria serica, quelle del Lecchese sono orientate alla meccanica pesante: noi abbiamo scommesso 20 anni fa su un ambito di sviluppo un po’ differente, quello dell’oil & gas, che da 20 anni a questa parte non ha mai conosciuto rallentamenti, anche se molti sono stati i cambiamenti”. Già, perché l’Italia ha una posizione strategica centrale in questo ambito, a livello mondiale: “nella zona Colico e dintorni ci sono alcuni tra i principali attori per la produzione di valvole sottomarine, così come Pavia, Bergamo, Milano e Varese sono centrali nella produzione degli impianti estrattivi: in un raggio di circa 100 km si concentrano l’80% di produttori di valvole” conclude Croci.

Le prospettive quindi restano positive, a dispetto dello stato attuale? “Quello che mi preoccupa di più, ad essere sincero, è il sottile confine tra preoccupazione – più che legittima – per la propria salute, e la vera e propria psicosi, anche se devo dire che in azienda si respira un clima tutto sommato positivo. Le persone lavorano in sicurezza e, come dicevo, anche felici di poter mantenere una routine in questo tempo dove tutto sembra essere così confuso. Però ci sono stati episodi che mi hanno scoraggiato: giochi al ribasso sui prezzi da parte di clienti, quando la nostra politica è stata, fin dall’inizio della crisi, quella di pagare dipendenti e fornitori con il massimo della regolarità. È un atteggiamento che reputo poco professionale, quasi ai limiti dello sciacallaggio, mentre sarebbe ora più che mai necessario far sì che la filiera della produzione non subisca alcun danno.  Per quel che mi riguarda – continua Croci – prima del lock-down del 26 aprile ho chiesto di dare la massima priorità al supporto e al completamento delle commesse verso l’estero, perché credo sia strategico mantenere competitività a livello internazionale e capitalizzare ciò che oltre confine ci viene riconosciuto. Non possiamo rischiare che il far East, cui abbiamo insegnato tanto, soppianti ciò che di speciale è rimasto in Italia ed Europa a livello di competenza e qualità”. Il made in Italy è ancora un valore da difendere, dunque? “Le aziende italiane sono riconosciute come i luoghi del fare, quelli in cui vengono escogitate soluzioni, fucine di creatività – dice Croci -. Ma se oggi sono abbastanza sereno, il prolungamento del lockdown potrebbe far sì che le commesse vengano spostate all’estero, e quello sarebbe un danno gravissimo”. E allora quali sono le soluzioni per il futuro immediato? “Noi italiani abbiamo la competenza, occorre risvegliare una capacità imprenditoriale che c’è, assieme a un’etica lavorativa nuova. Dobbiamo smetterla di farci belli del made in Italy quando poi si compra dall’estero e si italianizza, perché sennò non è più industria, ma commercio. Io la sfido a trovare nei nostri archivi fatture che sia intestate fuori da Italia o West Europe. Io ho 43 anni, non ho ancora molti anni di esperienza alle spalle, ma mio padre lavora dagli anni Sessanta e ci ha insegnato questo: creare valore aggiunto e far lavorare i nostri, non fare gli assemblatori e i commercianti di cose estere, perché nei momenti come questi poi se ne pagano pesantemente le conseguenze”.

Cosa può fare il mondo dell’imprenditoria per far sentire forte la propria voce, dunque? “Credo che il primo passo sia conferire maggiore autonomia ai rappresentanti di categoria, creare consorzi e legami tra i vari territori. E poi occorre sostegno da parte delle istituzioni e della politica, a cominciare da una burocrazia e da una fiscalità più leggere; tutto ciò dovrà essere propedeutico e finalizzato a un costante processo di investimenti da parte di tutti gli imprenditori: mi è stato proposto di andare in Austria, in Svizzera, ma voglio restare in Italia, però non posso passare anni in attesa di avere autorizzazioni, né essere gravato da un peso fiscale spropositato.  Il 4.0 ha avuto l’indubbio merito di aiutare le aziende sane e rallentare gli speculatori, oggi chiediamo una reale testimonianza di vicinanza perché siamo quelli che produrranno reddito futuro. A breve saremo noi a dover essere in prima linea nella fase di ricostruzione economica; non siamo eroi, ma chiediamo che in questo momento così delicato ci sia una reale comunione di intenti e una reale volontà di far ripartire il Paese”.