Francesco Cupertino, Rettore PoliBa: “Invertire una migrazione è complesso ma possiamo arginarla”

I giorni in cui riesco a intercettare uno spiraglio di tempo nell’agenda di Francesco Cupertino sono quelli della nascita del laboratorio pubblico-privato Cognitive Diagnostics: da un lato Comau – la multinazionale torinese del gruppo Stellantis, tra i nomi di riferimento internazionale per lo sviluppo di sistemi e prodotti avanzati nell’automazione industriale – e dall’altro il Politecnico di Bari, oggi fiore all’occhiello del Mezzogiorno e grande tra i grandi politecnici pur essendo il più giovane con appena trent’anni alle spalle. Nascerà un vero e proprio hub Comau a Bari. Cupertino è il Rettore, giovane anche lui, ed è sua la firma sopra questo accordo quinquennale voluto nell’ottica di far crescere competenze tecnologiche per soddisfare la crescente richiesta di un’automazione il più possibile flessibile, in ogni contesto.
Sono gli anni del gran parlare di competenze, spesso senza mettere davvero a fuoco il senso. Da un po’ di tempo si dibatte di dure e morbide ma la curiosità è capire com’è cambiata la formazione degli ingegneri rispetto a quando era studente lei.
Gli studenti di ingegneria sono sempre stati alla ricerca di un compromesso tra gli studi a carattere teorico e una contestualizzazione di questi studi negli ambienti di lavoro. È un’operazione che inevitabilmente richiede competenze anche di tipo umanistico, quindi un’attitudine alla contaminazione tra saperi. Quello che è cambiato, nel corso degli anni, è invece il livello di attenzione al saper fare, oggi altissimo. Questo non vuol dire rinunciare alla conoscenza che si ottiene con lo studio, ma è necessario avere più consapevolezza dell’utilità pratica e lavorativa delle nozioni. Per questo, il Politecnico di Bari è sempre più orientato ad un modello didattico in cui si affianchino solide conoscenze di base dei vari ambiti dell’Ingegneria, dell’Architettura e del Design, con competenze umanistiche e lo riusciamo a fare anche grazie alle aziende.
Studiare al Sud per lavorare al Sud è ben diverso dallo studiare al Sud per poi andare a lavorare al Nord. C’è da chiedersi, soprattutto in questo momento storico, se i giovani si pongano questo problema e se l’accademia stessa si interroghi su una simile frontiera.
I grandi gruppi industriali hanno sempre avuto un forte appeal nei confronti degli studenti, anche quelli che studiano nelle università meridionali e, tipicamente, queste occasioni di lavoro sono collocate nel Nord Italia, piuttosto che al Sud, oppure nel resto dell’Europa. Le politiche degli ultimi anni per attrarre investimenti anche nella nostra regione hanno un po’ cambiato gli equilibri a nostro vantaggio. I grandi investimenti che sono stati fatti per sostenere l’impresa, soprattutto quella innovativa, e le molte iniziative per valorizzare la ricerca applicata e favorire il trasferimento tecnologico, come i laboratori pubblico-privati, hanno portato nuove opportunità per i nostri giovani. Oggi c’è una maggiore consapevolezza di quello che offre il territorio, anche se c’è ancora molto da fare, per esempio se pensiamo alle potenzialità delle piccole e medie imprese locali: se fossero adeguatamente valorizzate, potrebbero garantire prospettive professionali importanti per i nostri studenti.
Di quali profili professionali tecnici ha bisogno l’Italia, adesso e per i prossimi anni, per riposizionarsi a livello economico, sociale e culturale?
Avremo bisogno sempre più di competenze digitali, non solo da parte di chi ha seguito percorsi di formazione in ambito STEM, ma anche in ambiti meno legati al digitale, che per sua natura è trasversale. Il digitale abilita una serie di attività, è funzionale al raggiungimento di molteplici risultati che non sarebbero raggiungibili con gli strumenti tradizionali. Le università, in particolare i politecnici, hanno ormai il compito di guidare la trasformazione digitale dei nostri talenti.
Prendiamo in esame due dati: la licealizzazione spinta e il numero altissimo di universitari, spesso fuori corso (ma non è il caso del Politecnico di Bari): forse sono il risultato di una pressione nei confronti dei giovani da parte delle famiglie che non sempre tengono conto delle reali attitudini o desideri degli studenti.
Di sicuro, c’è molto da fare sulle attività di orientamento. Spesso i ragazzi che scelgono un percorso di studi non sono veramente consapevoli di quello che sarà l’attività lavorativa che li aspetta o le difficoltà che incontreranno durante il percorso di formazione. L’orientamento agli studi universitari deve essere sempre più esperienziale e deve essere progettato e realizzato in sinergia con la scuola e, soprattutto, con le aziende: bisogna portare gli esempi, i casi concreti. Le imprese devono riuscire ad avvicinarsi agli studenti, per far capire loro quale tipo di competenze servono adesso per il mondo del lavoro e quali sono i risultati che si possono raggiungere con quelle competenze.
Al Sud e in particolare in Puglia è immaginabile un fenomeno controcorrente di giovani, formati al nord, che scelgano di vivere e lavorare qui?
Invertire una migrazione è sempre molto complicato, però possiamo sicuramente arginarla, se riusciamo ad attivare un flusso di professionisti che decidono di venire a vivere al Sud. Potrebbe essere allettante la prospettiva di utilizzare lo smart working per continuare il proprio rapporto di lavoro in un luogo che sintetizza bene la qualità della vita con opportunità lavorative di alto livello. I primi effetti già si vedono: gli insediamenti principali che, oltre alle attività produttive, hanno portato al Sud anche i centri di ricerca e sviluppo, sono oggi attrattori di giovani talenti che rientrano dal Nord Italia o dall’estero.
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Stefania Zolotti, direttrice di SenzaFiltro, il giornale della cultura del lavoro, ha realizzato per RoadJob un ciclo di interviste che mettono nero su bianco il tema dei giovani e il loro rapporto con l’industria, la formazione, la crescita culturale e professionale tra generazioni, le geografie del lavoro.