Giancarlo Caprioglio, JobPricing: “È nel total reward che i giovani dicono la loro sul salario”

Con Giancarlo Caprioglio, Senior Consultant di JobPricing, prendiamo subito il toro per le corna in tema di salari e partiamo da quel pay them more del Presidente degli Stati Uniti Joe Biden che forse passerà alla storia più del suo intero mandato. Tre parole pronunciate durante una recente conferenza stampa in cui era stato chiamato a rispondere della situazione economica nel Paese e delle preoccupazioni per la mancanza di lavoratori in diversi settori. Pagateli di più, ha detto insomma agli imprenditori.

“Gli americani già pagano di più, parecchio di più, se guardiamo all’Italia. Sia il dato Ue che OECD (Organisation for Economic Co-operation and Development) ci trova nella fascia bassa in tema di livello medio retributivo: siamo rispettivamente in 9^ posizione e in 22^, entrambe ben al di sotto della media. Il salario medio italiano si discosta di circa 10mila euro da quello tedesco e francese. Questo aspetto ovviamente è molto più accentuato nella fasce professionali meno qualificate e migliora salendo verso i quadri e i dirigenti. La grande differenza rispetto agli altri Paesi è marcata soprattutto per lo stipendio all’ingresso e il fatto che ci posizioniamo male fa riflettere in modo serio dato che siamo un Paese molto industrializzato, direi quasi che siamo l’ultimo dei grandi. Sta di fatto che anche nel 2020 le retribuzioni medie nazionali sono risultate bloccate proseguendo un trend di stagnazione ormai pluriennale. Le differenze fra gli stipendi più alti e quelli più bassi, tuttavia, a differenza degli anni precedenti si sono accentuate: la retribuzione media lorda è stata di 29.222 euro”.

job pricing

 

Il gap di natura retributiva caratterizza l’Italia da sempre?

Il dato si è molto stressato negli ultimi anni ed è fondamentalmente legato ad una logica di sistema Paese: le imprese non sono state in grado di recuperare produttività e quindi hanno avuto meno soldi da destinare alle retribuzioni.

La percezione dei lavoratori italiani, giovani e meno giovani, è spesso frustrante quando si parla di guadagni a fine mese.

Lo confermo perché in JobPricing lavoriamo costantemente anche sulla percezione ed è vero che è negativa dal punto di vista del proprio pacchetto retributivo. Quello che capita spesso è che aziende multinazionali con le stesse figure in diverse Paesi offrano retribuzioni discordanti, lì il raffronto è immediato e frustrante a fronte della stessa mansione.

Cos’altro incide su una progressiva svalutazione dei salari italiani?

L’atro aspetto eclatante è che ormai da anni una serie di imprese ha iniziato a deprezzare il lavoro dentro un mercato e un ordinamento nazionale capace solo di frammentare. In passato un giovane iniziava a lavorare e mirava a un contratto a tempo indeterminato in modo molto più lineare di adesso; ora tra agenzie interinali, stage, contratti a termine e apprendistati è facile immaginare come mai il lavoro si sia svalutato. Anche questo aspetto è figlio di quanto detto poco fa: minore produttività, minore competitività, minor investimento su contratti e retribuzioni. 

Eppure non tutti i settori produttivi si sono tirati fuori da logiche costruttive.

É vero ed è accaduto indipendentemente dalla dimensione dell’impresa; sono realtà che hanno continuato con convinzione a investire e a remunerare i propri collaboratori. Il danno è che a livello di Paese sono molte di più le imprese che si sono allineate a logiche al ribasso, che non hanno accettato la sfida internazionale o semplicemente che non hanno voluto investire sul capitale umano.

Tagliare stipendi è ancora il gesto più istintivo quando i bilanci tentennano?

Non credo sia una questione istintiva o semplicistica, il tema è più complesso del solo pensare che si possano raffreddare le retribuzioni. Il lavoro si misura molto all’ingresso, mediamente le imprese quando assumono cercano di assumere al livello più basso possibile, a prescindere dal ruolo: questo determina uno schiacciamento verso il basso così come lo stesso schiacciamento deriva dall’utilizzo di forme contrattuali sempre più flessibili.

Le imprese sono disposte a pagare di più una manodopera qualificata?

Certi fenomeni, già evidenti prima, durante la pandemia si sono accentuati visibilmente. Ad esempio i lavori a minor valore aggiunto di competenza o i lavori distanti dalla tecnologia o i lavori che non si sono potuti convertire in smartworking sono quelli che hanno patito maggiormente il periodo. Questa invece è la fase in cui le imprese stanno ricominciando con convinzione a cercare manodopera qualificata e faticano a intercettarla.

I giovani non si fanno trovare o hanno obiettivi lavorativi diversi rispetto alle generazioni precedenti?

Queste nuove generazioni hanno caratteristiche sicuramente diverse dal passato, la più evidente è che non sono disposte a cedere a tutto pur di lavorare. Hanno una maggiore attenzione sull’equilibrio tra vita professionale e privata e lo quantificano in una logica che noi definiamo di total reward: mettono insieme aspetti tangibili (stipendio e welfare su tutti) con aspetti intangibili (risorsa tempo, possibilità di crescita e sviluppo, occasioni formative, opportunità di lavorare per aziende che incarnano valori).

Come si concilia questo quadro con i dati sulla disoccupazione aggiornati a settembre 2021 che vedono il dato medio stabile al 9,2% ma quella giovanile in aumento di quasi 2 punti percentuali?

Ecco la vera disarmonia e in questo contesto va detto che la scusa del reddito di cittadinanza non starebbe in piedi nella misura in cui le imprese assumessero giovani offrendo salari ben al di sopra del reddito di cittadinanza stesso e invece quasi mai accade. Gli ultimi due aspetti di cui si parla sempre poco sono che il cuneo fiscale italiano è molto alto tanto quanto i Paesi che hanno retribuzioni altrettanto alte (quindi dal nostro dato lordo, che è già in coda alle statistiche, va poi sottratta anche la parte fiscale); il secondo aspetto è che, mentre in passato i Paesi a retribuzioni elevate erano anche i Paesi con alti livelli di qualità della vita, oggi tranne la Svizzera non c’è più grande differenza sul costo vita. Tutto questo, ai fini dei salari netti, genera la nostra fragile identità retributiva.

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Stefania Zolotti, direttrice di SenzaFiltro, il giornale della cultura del lavoro, ha realizzato per RoadJob un ciclo di interviste che mettono nero su bianco il tema dei giovani e il loro rapporto con l’industria, la formazione, la crescita culturale e professionale tra generazioni, le geografie del lavoro.