Luisa Zuccoli, Dirigente Scolastico IIS Badoni: “Quando la scuola giusta ti apre la strada”

Le coordinate prima di tutti. Siamo al Badoni, lo storico istituto tecnico che nasce sul territorio della provincia di Lecco per volontà dell’imprenditoria. Nelle scuole della provincia di Lecco le scuole si chiamano per cognome, al maschile, è così. Parliamo di 75 anni fa, poco prima della seconda guerra mondiale: non una scuola pubblica, voluta dall’alto, ma una scuola che nacque come Ente Lecchese di Istruzione professionale (ELIP). L’edificio stesso fu tirato su dagli industriali del tempo che in quegli anni erano per lo più impegnati tra siderurgia e acciaieria. Le acciaierie Antonio Badoni – lui Sottotenente di vascello e Medaglia d’argento al valor militare ma soprattutto unico figlio maschio con cui si perderà il ramo di famiglia – spiegano già tutto dal nome: nome a cui è tuttora intestato l’Istituto. Quelle acciaierie oggi non marcano più il territorio, la meccanica di certo comanda adesso in questa geografia d’Italia, spesso associata alla minuteria metallica.

“È e resta una scuola del territorio” sono le parole che metto via per prime, a segnare l’intera intervista con Luisa Zuccoli, dirigente scolastico del Badoni, vent’anni di docenza alle spalle in un liceo scientifico prima di arrivare qui e altre esperienze prima.

Nata e vissuta in zona anche lei, undicesima figlia di un padre che faceva il Capo centrale elettrica – e che aveva fatto il capo elettricista alla Moto Guzzi – con uno dei suoi fratelli maggiori studente al Badoni, come moltissimi altri ragazzi nati con la voglia di fare tra le mani; insomma, a casa di Luisa Zuccoli si era sempre respirata aria di ingegno. Mentre mi parla, arriva orgoglioso un suo senso delle radici e delle relazioni con cui è diventata la persona di oggi. Non si è formata al Badoni ma a tutt’oggi, quando il fratello la incontra, una delle prime domande che le fa è “Come va il Badoni?”.

La domanda implica una nota sociologica profonda del territorio.

“La scuola partì coi corsi di meccanica e di elettrotecnica, negli anni ’70-’80 si aggiunse la parte informatica: la forte fisionomia di base è sempre rimasta questa. Da dieci anni, inoltre, accoglie un Liceo delle Scienze applicate”.

Di anni ne sono passati, eppure gli studenti di oggi sentono ancora sottopelle la stessa dinamica degli studenti di allora: “Non so dire se è più orgoglio di studiare al Badoni o più, quasi, un bel senso di riverenza per l’istituto. Ovviamente lo dico non tanto durante il percorso di studi, perché sappiamo tutti che da adolescenti viviamo la scuola nel normale gioco delle parti, quanto nell’essere Badoniani quando si diventa più adulti e si entra nella società, nel mondo del lavoro”.

Nel corso degli anni il Badoni aveva poi virato a scuola statale come era normale che fosse. Intatta, però, è rimasta la matrice di chi usciva ed esce tuttora da lì.

Chiedo alla dirigente cosa voglia dire, ancora oggi, essere un Badoniano.

“È la garanzia, la certezza, di avere una formazione tecnica che è immediatamente spendibile nel mercato. Nessuno si preoccupa che chi ha fatto il Badoni non possa trovare un lavoro e questo è anche corroborato dai fatti dato che i nostri ragazzi vengono intercettati dalle aziende già prima che concludano il percorso di studi”.

Quando la dirigente parla dei suoi studenti, parla di circa mille e cento studenti. Sono tanti, somigliano alla popolazione di un piccolo paese italiano che prova a costruirsi un futuro.

Per mantenere così alta la motivazione dei ragazzi a stare in una scuola tecnica, un segreto deve pur esserci in questi anni tanto penalizzanti per le nuove generazioni e per i sogni che si portano addosso. “La prima cosa a cui badare bene è mantenere alto l’aggiornamento dei saperi da parte del corpo docente. La seconda è il profondo contatto con le aziende del territorio, che, più che essere lasciato alla libera ispirazione dei docenti, viene chiaramente rinforzato dai percorsi PCTO: il fatto di avere intorno questa grande rete industriale fa sì che la scuola sia innervata costantemente di contatti e opportunità. È importante rimarcarlo: la scuola, per quanto valida e centrata sui suoi migliori valori, di per sé non basterebbe se non ci fossero le aziende. Un esempio su tutti per chiarire ciò che intendo: da soli non saremmo in grado di garantire la qualità, il numero e l’aggiornamento dei laboratori, basti pensare a quanti il Badoni ne ha dovuti modificare col passare del tempo, dagli anni ’70 ad oggi, per ragioni che vanno dalla sicurezza alla normale gestione economica. Noi invitiamo i ragazzi anche a trascorrere nelle aziende più tempo e più ore di quelle previste dal percorso di studi perché la fortuna che hanno di poter imparare in modo empirico, concreto, è impagabile”.

Vale anche il contrario, sia chiaro: il Badoni è il grande desiderio delle aziende del territorio, le aziende guardano a quegli studenti con gli occhi di chi vuole far crescere un sentimento e per questo li coltivano fin da ragazzi. “La nostra scuola tra l’altro non riesce nemmeno a soddisfare tutta la domanda che arriva dal comparto industriale e accadde perché, con un diploma da periti, non riusciamo a intercettare il mondo femminile. Per come è impostato l’Istituto e, ormai, per come sono cambiate e migliorate le imprese e le modalità di lavoro, non ci sarebbe davvero alcun vincolo per le ragazze o alcun ostacolo. Il problema si annida altrove e credo dipenda dal fatto che questa società non costruisce le attitudini delle donne fin da quando sono piccole: se continuiamo a regalare solo bambole alle bambine, e non le facciamo sentire libere di comprare o di avere giocattoli percepiti dall’immaginario collettivo solo come dedicati ai maschi, quando arriva l’eta delle prime scelte sarà quasi impossibile per loro stesse decodificare cosa desiderano e per cosa si sentono predisposte”. La natura culturale del problema subaffitta consensi anche dentro le famiglie e dentro la loro resistenza ad ascoltare fino in fondo la natura dei propri figli, le figlie ancora meno.

Luisa Zuccoli è la prima dirigente donna al Badoni. Andava detto, così come va detto che Luisa Zuccoli prende giustamente le distanze dalla mentalità della riserva indiana che vorrebbe far emergere le donne a tutti i costi. “Non è forzando le quote rosa che si cambiano le cose, le cose si cambiano capendo fino in fondo che se non educhiamo per prime le donne a cogliere le proprie attitudini e poi la società e il mondo del lavoro ad accoglierle, rischiamo di giocarci metà della popolazione su cui scegliere”.

Mi resta solo un dubbio, e provo a farmelo sciogliere dall’intelligenza della Preside – sì, ho molto apprezzato anche la sua informalità e il suo autodefinirsi ogni tanto “preside”, detto alla vecchia maniera e senza badare troppo alle gabbie dei vocaboli e dei ruoli.

Il mio dubbio è che questi studenti nascano, studino e trovino lavoro in un recinto troppo stretto. “Più della metà di loro va all’università, che vuol dire, principalmente, al Politecnico di Milano. Vivono cioè un doppio canale. Molti altri viaggiano e studiano fuori, poi tornano. In fondo credo che anche le università, se pensate con mentalità aperta e con la presenza di studenti e docenti da varie parti del mondo, siano già esse stesse un viaggiare, un guardare altrove per crescere dentro e per capire chi siamo”.

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Stefania Zolotti, direttrice di SenzaFiltro, il giornale della cultura del lavoro, realizza per RoadJob un ciclo di interviste che mettono nero su bianco il tema dei giovani e il loro rapporto con l’industria, la formazione, la crescita culturale e professionale tra generazioni, le geografie del lavoro.