Sicurezza, norme, nuove consuetudini: abituiamoci a un mondo nuovo, ma ripartiamo al più presto

Intervista a Stefano Fiocchi, Presidente Fiocchi Munizioni

19 maggio 2020

Credo che allo stato attuale non ci sia una ricetta per la ripartenza, ma sono convinto che l’economia e il denaro debbano tornare a girare, perché il rischio della stagnazione e della recessione è grosso. Gli imprenditori stanno facendo la loro parte, lo Stato deve fare la sua con sussidi, aiuti e rapide iniezioni di liquidità per partite Iva e le aziende che stanno maggiormente soffrendo per l’emergenza sanitaria”. Stefano Fiocchi è il Presidente di Fiocchi Munizioni, che dal 1876 produce munizioni per armi di piccolo calibro, utilizzate per impiego sportivo, per la caccia e dalle Forze armate. “Sono la quarta generazione ai vertici dell’azienda: mio nonno rilevò con un prestito di 20mila lire la società che produceva fucili e “cartocci” e convertì la produzione alle sole munizioni”. Oggi nello stabilimento di Lecco lavorano quasi 700 dipendenti, in Missouri, USA, sono impiegate altre 90 unità; ad essi si aggiungono le sedi distaccate in Inghilterra, Nuova Zelanda e Argentina come rete di vendita. “Credo che ancora non abbiamo compreso appieno i cambiamenti che ci aspettano – dice Fiocchi, raccontando di un viaggio “epico” da Milano a Roma in aereo, su un Boeing 777, aereo di stazza impensabile per una tratta così breve, ma oggi necessario per garantire il distanziamento a bordo, con controlli severissimi ai gate. “Ma dovremo prima o poi riprendere a volare, ci adatteremo ai cambiamenti, così come abbiamo fatto in passato in altre situazioni di crisi”.

La qualità della manifattura italiana è, secondo Fiocchi, una delle armi vincenti, per usare una metafora calzante: “l’export produce circa l’80% del nostro fatturato complessivo, siamo considerati best in class, come accade per molti prodotti made in Italy. Abbiamo continuato a produrre, salvo due settimane di chiusura, una addirittura prima del DPCM del 22 marzo: sin dalle prime avvisaglie di Codogno avevamo iniziato a prendere la temperatura all’ingresso e a dotarci di tutti i dispositivi di sicurezza, abbiamo fatto alla mia maniera, anticipando di fatto tutte quelle che poi sono state le disposizioni governative. Ho dovuto agire in fretta, perché da noi entrano 200 persone a turno: oggi siamo tutti sereni, i dipendenti sono soddisfatti delle condizioni lavorative, percepiscono sicurezza, c’è stato un grande lavoro di concerto con le rappresentanze sindacali. Credo sia il risultato più soddisfacente raggiunto, quello di un dialogo franco e aperto con i dipendenti, e un reciproco venirsi incontro per cercare di armonizzare le diverse esigenze. Per questo mi sento sereno quando dico che da parte nostra, e credo da parte di moltissimi imprenditori, si sia fatto davvero il massimo. Ora la speranza è che a livello politico si agisca con lo stesso impegno ed efficacia”.

In che modo? “Sicuramente occorrerà un lavoro enorme per mediare tra le esigenze sanitarie e quelle economiche: tra sei mesi potremmo non sentire più parlare di pandemia, ma sono piuttosto convinto che parleremo invece di disoccupazione. Se la rigidità del lockdown ha permesso di contenere i contagi, dall’altro lato ha inferto un durissimo colpo al sistema economico, è inutile nasconderlo, e non so in che modo riusciremo ad uscire dalle difficoltà che si presenteranno. So che non si poteva fare altro, che la partita in gioco era troppo alta, ma credo anche che sia irrealistico pensare di far ripartire gli ingranaggi del sistema Italia solo a contagi zero, perché è una prospettiva irrealistica: dovremo imparare a convivere con il virus modificando la nostra quotidianità, l’uso delle mascherine è l’esempio più lampante”.

Fiocchi non nasconde la sua preoccupazione per il futuro: “ci dovremo abituare a misure di sicurezza stringenti all’interno delle aziende, ma siamo pronti, la salvaguardia della salute dei nostri dipendenti è di primaria importanza, è interesse primario e anche strategico dell’azienda. Ma è necessario buttare il cuore oltre l’ostacolo, avere fiducia negli sforzi che come imprenditori stiamo facendo. Oggi l’Italia è ferma e l’Europa stagnante, i segnali che ci arrivano non sono incoraggianti, anche se fortunatamente le esportazioni sono state ad oggi tutte confermate. Il mio è un appello a non far morire il paziente Italia, perché questo si tradurrebbe in un dramma economico e sociale di portata devastante. Per ora insomma non riesco a vedere lati positivi. È vero, lo smart working rivoluzionerà senz’altro il lavoro di ufficio e porterà ad una nuova rivoluzione informatica, ma non può sostituire il lavoro manuale, se avvito bulloni non posso farlo da remoto, almeno non per ora. Certo è che a livello psicologico saremo tutti segnati. Quello che mi è più mancato in questo periodo? Forse andare al bar a prendere un caffè, la banalità – che abbiamo scoperto non essere così banale – della quotidianità”.